Il verde pubblico di Verona Sud come il gioco delle tre carte

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Parcheggi che diventano aree degradate per poi trasformarsi in centri commerciali in barba alla legge che incentiva il risparmio del suolo e il consolidamento dei poli commerciali esistenti.

Sul tema dell’Urbanistica a Verona questo giornale ha recentemente ospitato due articoli, il primo dell’architetto Gian Arnaldo Caleffiil secondo dell’architetto Giorgio Massignan. Vorrei intervenire a riguardo portando il punto di vista di un cittadino che “non ha le mani in pasta” me che è nato e vissuto nei quartieri di Verona Sud.

Mi verrebbe innanzi tutto da rispondere all’arch. Caleffi che basterebbe vedere dov’è finita Verona nella classifica della vivibilità per “ambiente e servizi” tra le città italiane (49° posto), per capire che gran bel lavoro è stato fatto nel settore urbanistico (e non solo) per questa città. Una città ricca di storia come Verona, con i suoi monumenti e le bellezze del territorio circostante,  dovrebbe primeggiare in tale classifica ed invece si ritrova con periferie cementificate. L’arch. Caleffi scrive che la cultura del recupero edilizio è cosa recente: certo prima bisognava sfruttare fino al midollo la possibilità di facili ed estesi guadagni, comprando terreni da rendere edificabili, costruendo abitazioni spesso di scarsa qualità e vendendole a caro prezzo. Questo è stato uno dei business preferito da molti, mentre la politica avrebbe dovuto avere il sommo compito di orientare e non di assecondare gli “appetiti”.

Veniamo ai centri commerciali. L’arch. Caleffi dice che sono state usate aree degradate per far sorgere, ad esempio, l’Esselunga. Orbene parrebbe piuttosto che quello spazio, come certamente molti cittadini ricorderanno, era stato destinato dal Comune – dopo il trasferimento del mercato ortofrutticolo e di altre attività ivi presenti – a grande area parcheggi per la vicina Fiera. Risulterebbe anche che per la realizzazione di questi parcheggi il comune di Verona abbia ricevuto dei finanziamenti.

Strano che, solo qualche anno dopo, quella stessa area sia stata dichiarata dallo stesso Comune “degradata” per poter chiedere, sulla base di un’interpretazione sui generis della Legge regionale 50/2012, il cambio di destinazione d’uso da parcheggio ad area edificabile. È stato dato proprio un bell’esempio di quella italica furbizia che tanti danni ha prodotto sul territorio. E pensare che tale Legge nelle note di indirizzo per il risparmio di suolo, all’art. 4 riporta: “incentivare il risparmio di suolo, favorendo gli interventi di consolidamento dei poli commerciali esistenti, gli interventi di recupero e riqualificazione di aree o strutture dismesse e degradate”.

Come il comune di Verona abbia potuto dichiarare “degradata” quell’area sulla quale si era appena speso qualche milione di euro per realizzare parcheggi piantumati, resta un mistero o, se si preferisce,  un atto di fede nella superiore visione della nostra Amministrazione. E pensare che la stessa legge tra gli obiettivi riportava l’invito a dare “priorità di sviluppo agli insediamenti commerciali che assicurano un maggior risparmio del consumo di suolo”. Peccato che lì a fianco ci fossero ampi capannoni dismessi dell’ex Mercato ortofrutticolo che forse, con un bell’intervento di progettazione, avrebbero potuto permettere a Esselunga di insediarsi in un particolare contesto architettonico senza, appunto, consumare suolo.

Ma andiamo avanti: com’è che l’arch. Caleffi vanta il fatto che gli attuali regolamenti edilizi comunali prevederebbero che il 50% di area di intervento debba essere dedicata a verde/servizi mentre le piantine (non alberi) di Esselunga sono state piantate in un altro quartiere (Santa Lucia)? Tra l’altro queste piantumazioni sono state fatte su un’area di proprietà comunale e non, come avrebbe dovuto essere, su un’area acquistata e messa a disposizione dal costruttore. Questa “cosetta” non è da poco e fa la differenza tra un insediamento compatibile con un armonioso sviluppo delle periferie o un intervento non sostenibile.

Si dovrebbe spiegare com’è che, anziché realizzare le aree verdi compensative, il Comune  di Verona ha permesso a quegli imprenditori di costruire enormi complessi senza realizzare affatto il verde dovuto, ma semplicemente dando al “fortunato” costruttore la possibilità di “monetizzare”, ovvero in teoria (ma in pratica neppure quello) pagando il valore corrispondente all’area verde che si sarebbe dovuta realizzare, ma che poi non è stata realizzata. I cittadini si erano illusi che con quei soldi il Comune avrebbe realizzato il verde dovuto, quello stesso Comune che per bocca del suo ex assessore Vito Giacino ammise un debito verso i cittadini di circa 2 milioni di mq di verde. E ciò, si badi bene, prima dei recenti enormi insediamenti soprattutto a Verona Sud.

Ma la beffa non finisce qui. Lo sanno i cittadini che il comune di Verona ha concesso a questi “fortunati” costruttori oneri di monetizzazione ampiamente scontati? Già, perché il Comune si è fatto pagare solamente l’equivalente del costo degli alberi da piantare e non quello del terreno su cui piantarli. Evidentemente il Comune aveva già in mente di farli poi piantare nei giardini privati dei cittadini.

In sostanza, con il beneplacito delle ultime Amministrazioni, chi ha insediato grandi centri commerciali si è preso i “commoda” lasciando gli “incommoda” ai cittadini e ciò anche se vi è una sentenza del Consiglio di Stato 614/2013 che censura questo modus operandi, a danno dei cittadini, definendolo paradossale .

Ecco, i cittadini vorrebbero capire com’è che certe cose possano accadere proprio in questi tempi moderni di conoscenza, trasparenza, avanzata civiltà e progresso. Forse bisognerebbe che ci fosse qualche Procuratore della repubblica in più, per vigilare meglio su tanti passaggi non sempre così limpidi e non sempre così utili alla cittadinanza.

Articolo pubblicato su VeronaIn

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